È opportuno… aprire l’anno catechistico? Riflettiamo

Speciale catechisti ottobre 2019

Tante volte ho sottolineato come il linguaggio sia performativo, cioè crei una mentalità, un pensiero, un modo di intendere la realtà e di affrontarla. Cosi anche nella catechesi un certo tipo di termini può facilitare o rallentare il processo di rinnovamento. In molti catechisti permangono ancora dei “residui di scolasticità” nell’uso di certe espressioni che rischiano di mantenere le vecchie prassi, talvolta «debitrici di modelli che le condannano all’inefficacia» (Incontriamo Gesù, 52). Un esempio tipico è l’espressione “apertura dell’anno catechistico”, ricorrente soprattutto in questi giorni, nei quali, finita l’estate, si ricomincia con il ritmo ordinario delle attività pastorali. Ma mi chiedo e vi chiedo: è ancora giusto usare questi termini?

Riflettiamo: se si parla di iniziazione cristiana, si intende quel processo globale e graduale in cui si diventa cristiani non solo attraverso l’annuncio della Parola, ma anche attraverso momenti celebrativi e vita di carità. Quindi, perché caratterizzare un anno solo con la catechesi, quando essa non è il tutto del cammino ma è a servizio dell’iniziazione cristiana?

Il cammino poi non viene scandito in anni, ma in tappe che fanno riferimento a precisi obiettivi. Una tappa non coincide sempre con un anno, e se proprio si vuole trovare un indice temporale, questo dovrebbe essere individuato non nell’inizio o nella fine dell’anno scolastico, ma semmai nell’inizio o nella fine dell’anno liturgico.

Inoltre, utilizzare il termine “apertura” è far passare l’idea che si chiude un tempo e se ne apre un altro. Sappiamo, invece, che per un ragazzo il cammino di iniziazione cristiana non finisce a giugno, ma continua anche con le esperienze e le attività estive (grest, camposcuola…), insomma con la vita della comunità. Quindi, non si apre e non si chiude nulla, tra l’altro adottando un “rito” inopportuno perché le tappe ci sono già e queste sono scandite dai reali riti liturgici che segnano i passaggi.

Sono proprio questi riti che devono essere valorizzati per far percepire la gradualità del cammino fino al suo compimento con la celebrazione dei Sacramenti.

Cosi piuttosto di inventare un’apertura dell’anno catechistico che non c’è, perché non valorizzare il rito dell’inizio del Primo discepolato, in cui ai bambini che cominciano viene consegnato il libro dei Vangeli, mentre a quelli impegnati nelle tappe successive viene rivolto l’invito di fare festa per i loro amici e di ritrovarsi, dopo il periodo estivo, con i loro catechisti nell’eucaristia domenicale?

Espressioni come «iniziamo una nuova tappa del cammino», «ritroviamoci per continuare la strada che abbiamo iniziato», o «facciamo un altro tratto della Via» (il nome che i primi cristiani davano a Gesù!), mi sembrano più opportune, più belle, più evocative e sicuramente più corrette per iniziare un cammino e non per aprire un anno catechistico!

Giorgio Bezze

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