Cammino da consolidare… con i piedi per terra
Nell’editoriale di “Speciale catechisti” del mese di agosto invitavo a scoprire e a valorizzare tre perle preziose che la chiesa ci aveva offerto nei mesi scorsi: l’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco, il nuovo vescovo Claudio e le iniziative di formazione per i catechisti del nuovo anno. Gli orientamenti pastorali invitano ciascuno di noi a mettersi “in cerca di perle preziose” tenendo presente che non è un punto a capo, ma è mantenere lo stesso sguardo che lo scorso anno ha contemplato e goduto di tutto “il bene che c’è tra noi”. Un bene che c’è e che chiede di essere consolidato perché possa essere sempre più condiviso, trafficato e moltiplicato con tutti e per tutti.
Come catechisti non possiamo non pensare al cammino di iniziazione cristiana che quest’anno per la maggior parte delle parrocchie coincide con la seconda tappa del primo discepolato.
È questo un bene che va consolidato, ma anche difeso da tutti, perché le tentazioni di tornare indietro sono sempre in agguato. Il bene si consolida guardando le perle che il cambiamento sta portando soprattutto a livello di catechisti, di genitori e di comunità cristiane.
Dicendo questo non nego le varie difficoltà che in più occasioni, sia con i catechisti che con gli accompagnatori dei genitori, sono state rese presenti, né voglio illudermi che quello che la chiesa di Padova sta facendo sia la soluzione di tutti i problemi.
Dobbiamo stare con i piedi per terra e ricordarci che il modello catecumenale scelto per il rinnovamento dell’iniziazione cristiana è ripreso solamente in senso analogico, per molti motivi. Prima di tutto perché il contesto attuale non è precristiano ma post-cristiano, e questo fa molta differenza. E poi perché il percorso è rivolto ai bambini e non agli adulti, e quindi da essi accolto pacificamente ma non scelto. E infine perché sia questi bambini che i loro genitori, ai quali proponiamo un cammino catecumenale, sono già battezzati. L’iniziazione cristiana dei ragazzi non può essere considerata catecumenale in senso proprio, in quanto il catecumenato richiede una scelta libera e la decisione della conversione. Si tratta per i ragazzi di un tempo nel quale si imprimono in loro dei punti di riferimento e dei valori, una grammatica e una sintassi della fede e degli atteggiamenti positivi nei riguardi della comunità ecclesiale.
Questi elementi non sono ancora la decisione ultima per la fede cristiana. La partita si giocherà più avanti. L’effetto catecumenale comincia invece a essere più accentuato nella proposta rivolta ai genitori di questi ragazzi, i quali sono degli adulti provocati a riprendere in mano la loro fede, per molti abitudinaria o da tempo archiviata. Tuttavia l’intento catecumenale rimane complesso, spesso problematico, anche in questi casi, anche quando è rivolto agli adulti. Trattandosi di adulti già cristiani, anche se spesso ormai lontani dalla chiesa, risulta difficile mettere in atto ciò che specifica il catecumenato: la sua connotazione di “differenza” rispetto al contesto culturale, di cambiamento di vita rispetto a un passato. La prospettiva catecumenale viene in un certo senso anestetizzata quando è messa in atto dentro un contesto culturale in cui la chiesa è ancora oggetto di riconoscimento sociale e quando viene rivolta ad adulti che aderiscono ancora a questa chiesa per tradizione sociale.
Queste considerazioni ci aiutano a evitare attese sproporzionate con le conseguenti delusioni. E ci aiutano ad accettare una cosa fondamentale: siamo chiamati a interpretare tutto il rinnovamento secondo l’ispirazione catecumenale come una risposta intelligente alle sfide dell’evangelizzazione, ma una risposta di transizione. Siamo chiamati a gestire una situazione mista, con l’onda lunga di abitudini religiose in persone che non hanno più la fede, o la cui fede non regge più alle domande serie della loro vita e alle sfide dell’attuale cultura. E tuttavia il fatto che non esista un modello perfetto per rinnovare l’iniziazione cristiana (ma c’è poi mai stato?), non significa che non possiamo fare qualcosa di meglio di quello che abbiamo fatto finora. E proprio questo è il senso ultimo di quello che stiamo facendo.
Giorgio Bezze
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