Ho partecipato per la prima volta alla Settimana Biblica organizzata dalla Diocesi e, come sono solita fare dopo aver vissuto un’esperienza significativa ed intensa, sento la necessità di fissare “nero su bianco” i pensieri e le impressioni che ancora risuonano dentro di me, sia per avere la possibilità di riappropriarmi di essi anche più in là nel tempo, sia perché desidero trasmettere ad altri un bene che ho ricevuto gratuitamente e che credo gratuitamente debba essere condiviso.
Le riflessioni che mi permetto di mettere per iscritto, non sono altro che risonanze mie personali che le intense ore di formazione e condivisione con i gruppi di studio mi hanno lasciato riguardo alla parola degli Atti degli Apostoli, e contestualmente il tentativo di cercare di capire ed attualizzare quanto la Parola dice in primis a me come credente, e in secondo luogo a me come parte di una Comunità.
E dunque, quale immagine di Cristiano e di Chiesa mi sono portata a casa da questa esperienza?
Il Cristiano presentato da Luca è prima di tutto un Testimone. E’ colui che con il suo modo di parlare, con i suoi gesti, rende visibile Cristo alle persone che ha vicino e sa cogliere ogni occasione per annunciarlo: nella ordinarietà della vita quotidiana, ma anche in momenti e luoghi in cui questo sembra impossibile, cioè dove c’è sofferenza, chiusura o indifferenza.
Mi piace pensare allora che il Risorto abbia scelto di continuare a rendersi visibile alle persone, non più nella propria carne, ma abitando con il suo Spirito la mia e la tua persona perché possiamo diventare suoi strumenti, ed essere nel mondo di oggi, i Suoi occhi che scrutano per vedere oltre l’apparenza; le Sue mani che sostengano e accarezzano, le Sue orecchie, che ascoltano in profondità; la Sua bocca che consola e benedice.
È l’incontro con Lui, attraverso i Testimoni, che oggi come allora ha il potere di generare alla fede, facendo nascere nel cuore dell’uomo quella domanda esistenziale che poi mette in cammino “…che cosa devo fare per essere salvato?” (Atti 16, 30).
L’immagine di Chiesa che mi è rimasta nel cuore, è quella di una Comunità perseverante e concorde nella preghiera dove anche nei momenti di paura e persecuzione “tutti insieme levavano la loro voce a Dio” (Atti 4, 24 ss) e dove vi era comunione di intenti; è una Comunità fondata sulla Parola di Dio capace cioè di leggere ed interpretare la storia presente, alla luce delle Antico Testamento partendo quindi dal passato perché ogni fatto è iscritto in un progetto salvifico di Dio.
Credo che questi due aspetti riscontrati nelle prime Comunità siano modello e insegnamento per noi oggi: la preghiera condivisa oltre a creare comunione dona la capacità di discernere secondo lo Spirito. Mi piace sperare allora che in questo tempo di nuova evangelizzazione in cui spesso non sappiamo quali passi compiere, quali strumenti adoperare, diventi necessario, anzi vitale prenderci cura di questi due “pilastri” della vita spirituale: ascoltare e scrutare insieme la Parola di Dio, dove il Signore si rivela e contestualmente, attraverso momenti di preghiera, curare la relazione con Lui e tra di noi; perché per essere grembo che generaalla fede abbiamo bisogno di essere fecondati dallo Spirito Santo.
L’ultima immagine che mi porto a casa è quella di una Comunità sinodale che tenendo conto delle differenze, non si lascia spaventare o disorientare da esse, ma si mette in ascolto, si lascia interrogare, cerca il dialogo, e infine, guidata dallo Spirito, prende con discernimento decisioni adatte alle varie situazioni (vedi Atti 11,19-26).
È anche questo il messaggio che ho sentito molto utile per la nostra realtà di oggi.
Mai come in questo tempo siamo chiamati a portare un Annuncio che sia non solo utile e desiderabile, ma credibile e “capibile”.
La Chiesa della “prima” Pentecoste ha il dono dell’ apertura universale: i presenti all’annuncio sentono parlare nella propria lingua. Lo stesso Pietro quando annuncia Gesù è attento a modificare il suo linguaggio tenendo conto delle persone che ha di fronte: ai Giudei annuncia il Cristo, il Messia, mentre ai pagani annuncia Gesù, Kyrios, Il Signore.
Questa attenzione a chi abbiamo di fronte, presuppone l’atteggiamento dell’andare incontro e dell’accogliere la realtà dell’altro accettando di “salire sul suo carro” – come ha saputo fare Filippo nell’episodio con l’eunuco, – per farci compagni di viaggio affinché l’Annuncio del Risorto possa essere prima capito e poi accolto.
Permettetemi un esempio concreto… A volte quando prepariamo una giornata per i genitori dei ragazzi della catechesi, abbiamo questa “ansia da Eucarestia” per cui, senza pensare alle persone che abbiamo di fronte, abbiamo la fretta di far loro vivere un’ esperienza che rischia di escluderli, invece che coinvolgerli e questo perché pensiamo alla messa come a un punto di partenza per un cammino di fede, mentre forse è un punto di arrivo.
Ci sono dei gesti e segni che, anche se non vissuti all’interno di una celebrazione, possono avere una “valenza sacramentale” e, forse, possono aiutare di più le persone a “digiuno” di liturgia a vivere e gustare in prima persona il significato e il valore di una comunione che in una Liturgia Eucaristica, magari non riuscirebbero a cogliere.
Buon cammino, insieme!
Alessandra Cipolotti