«Provo sempre un’istintiva diffidenza ogni volta che si legano, con cinture cronologiche, alcuni valori che scoppiano da tutte le parti e che non sono contraibili nei contenitori del tempo. Giornata della pace, della vita, della carità. La parola “giornata” sembra quasi insinuare l’equivoco che certe realtà grosse, come la carità, la pace e la vita, possano essere vissute con un impegno “part time”, di sole 24 ore, come “una tantum” e solo in termini circoscritti. Ecco perché, anche nel mese di ottobre, io sono un po’ restio a parlare di mese missionario, perché ho paura che qualcuno pensi di mettersi a posto la sua coscienza cristiana con una strizzatina di opere buone, torchiate – ben che vada – nel corso di un mese.
È giusto che vengano celebrate le giornate, i mesi e gli anni, purché inneschino processi permanenti di revisione e di impegno. È giusto parlare di mese missionario, purché la parola “mese” non sia concepita come un’isolante termico che incastra, nell’angustia dei trenta giorni, una dimensione radicale e totalizzante della vita della Chiesa. Ecco, avete già capito dove voglio arrivare: le nostre chiese hanno bisogno di riscoprire la radicalità della missione! Non è sufficiente una raccolta, seppur generosa di denaro o di mezzi. Il Signore non si placa con i residui della nostra opulenza; non basta l’intensificarsi della preghiera, perché avvenga il Regno di Dio; il Signore non si commuove solo con il raddoppio delle nostre richieste; e non basta neppure l’invio di un nostro fratello, in terre lontane. Il Signore non si lascia giocare dai processi comodi delle nostre identificazioni con l’eroe. Denaro, preghiere, sacrifici di mezzi e di uomini occorrono, eccome, ma non sono tutto!
Dobbiamo, insomma, recuperare lo stile di chiesa missionaria, inviata – non ad annunciarsi addosso , ma – a proclamare Cristo, morto e risorto, a un mondo che non lo conosce o non lo accetta o lo combatte o peggio se ne infischia. Dobbiamo snidare dalle nostre abitudini concettuali l’idea di Chiesa sedentaria, pacifica, rannicchiata e autosufficiente. Dobbiamo entrare nella convinzione che già la nostra famiglia è terra di missione. Dobbiamo persuaderci però che non possiamo accontentarci di piccoli arrangiamenti di fede, a uso interno, ma dobbiamo tendere l’orecchio – pur nella piccolezza della nostra Chiesa locale – al concerto universale di tutta la terra.
Solo se avrà questo compito di iniziazione alla coscienza planetaria, anche l’ottobre missionario acquisterà significato, diversamente celebreremo solo la sagra delle nostre più sterili generosità».
Tratto da “Perché al mondo non manchi il Vangelo” di Tonino Bello
«Qualunque sia la tua situazione di vita…
non lasciarti imprigionare
dall’angusta cerchia della tua piccola famiglia.
Una volta per tutte
adotta la famiglia umana.
Bada a non sentirti estraneo
in nessuna parte del mondo.
Sii un uomo in mezzo agli altri.
Nessun problema,
di qualsiasi popolo, ti sia indifferente.
Vibra con le gioie e le speranze di ogni gruppo umano.
Fa tue le sofferenze e le umiliazioni
dei tuoi fratelli nell’umanità.
Vivi a scala mondiale,
o meglio ancora, a scala universale.
Cancella dal tuo vocabolario le parole:
nemico, inimicizia, odio, risentimento, rancore…
Nei tuoi pensieri, nei tuoi desideri
E nelle tue azioni sforzati di esser,
ma di essere veramente, magnanimo!».
A cura di Agostino Rigon