Ogni catechista come persona è un insieme di fili intrecciati che formano trame diverse a seconda delle relazioni che intesse. Nella vita quotidiana siamo impegnati nella famiglia, nel lavoro, nello studio, nel tempo libero, se ne resta! A volte siamo fortunati e abbiamo l’opportunità di riflettere sulla nostra vita e sulla vite che ci circondano e cerchiamo di accettare le nostre e le altre diversità, ma cosa ha a che fare questa premessa con il nostro servizio di catechista?
Ai catechisti oggi viene chiesto non solo di conoscere e trasmettere contenuti di fede, ma di essere uomini e donne credenti che intessano i fili della loro poliedrica esistenza con i fili di altre esistenze: i bambini che accompagniamo, i genitori che incontriamo, le persone delle nostre comunità, i sacerdoti con cui collaboriamo e tutte le figure educative che hanno a cuore la trasmissione della fede. Il nostro compito è di essere persone di relazione nelle realtà delle nostre parrocchie che spesso non sono più in uno “stato di cristianità”, ma in una “situazione di missione”. Questa nuova realtà richiede la voglia di andare incontro agli altri, di ascoltarli e di camminare insieme come i discepoli di Emmaus.
È la consapevolezza che i fili delle vite con cui formiamo trame di relazioni possono aiutarci a costruire tessuti robusti se aiutati dalla relazione costitutiva con Gesù Cristo. Nel duplice comandamento dell’amore possiamo trovare il fondamento di ogni relazione. Lui incontrava ogni uomo come tale, non metteva etichette, non faceva distinzioni, intrecciava fili ricchi di amore nel rispetto di ogni diversità. Nell’educare alla vita di fede dobbiamo cercare di imitare questo stile, che dice affidabilità, coerenza, amore e rispetto dell’altro. Come dice papa Francesco: «Il catechista deve vivere come ministero proprio quello che dice il Vangelo di Giovanni: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto l’amore che Dio ha per noi (1 Gv 4,16)”».
Isabella Tiveron