Solennità di San Luca evangelista
Sabato 18 ottobre 2025 – basilica di Santa Giustina, Padova
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Omelia
Ci ritroviamo qui stasera riuniti all’altare di san Luca insieme ai fratelli ortodossi: il metropolita Polykarpos, arcivescovo ortodosso d’Italia ed esarca dell’Europa Meridionale; l’archimandrita Bessarione Vakaros, attuale vicario generale e parroco greco-ortodosso di Venezia e Padova. Sono davvero grato per la vostra presenza e ringrazio anche i rappresentanti delle altre chiese cristiane e quella dell’abate presidente della congregazione sublacense-cassinese padre Ignasi M. Fossas i Colet.
È bello riconoscerci amici e fratelli, con nel cuore la speranza di raggiungere nella storia una piena comunione tra tutte le Chiese. E per questo anche preghiamo.
Sono molto contento che in questa occasione – la festa di san Luca di cui in questa basilica conserviamo il corpo – ci incontriamo da anni con gli iconografi, con i medici e con i catechisti della nostra Diocesi, di cui l’evangelista è patrono. È una tradizione che si è consolidata nel tempo e che si arricchisce ogni anno. Prima di questa celebrazione mi sono intrattenuto con gli iconografi della Scuola d’iconografia San Luca e, successivamente, con i medici abbiamo vissuto un momento di approfondimento davvero qualificato sul tema dell’accompagnamento e della comunicazione nei processi di cura. In questa celebrazione sono inoltre presenti molti dei catechisti che dedicano il loro servizio all’accompagnamento dei piccoli e dei genitori.
Iconografi, medici e catechisti. Tre “categorie” che hanno nell’evangelista Luca un riferimento, un testimone, un esempio. Un patrono.
San Luca, infatti, era medico, per cui lo sentiamo un po’ come accompagnatore e promotore nella cura e nell’attenzione verso gli ammalati.
San Luca ci ha consegnato il terzo Vangelo – che tanto i catechisti utilizzano per parlare di Gesù alle famiglie, ai bambini, a giovani – e gli Atti degli apostoli, ma è stato lui stesso con la sua vita, testimone del Vangelo, praticando la vicinanza e la cura.
Tra le varie avversità della vita, questa basilica ha accolto alcune esperienze molto forti e impegnative: soltanto ieri abbiamo celebrato qui il funerale dei tre carabinieri morti in un’esplosione a Castel d’Azzano, nel Veronese. Una celebrazione solenne, molto sentita e partecipata che ha accompagnato e sostenuto le famiglie e gli amici dei tre carabinieri; una vicinanza importante in un momento di dolore così forte.
Ma ci sono anche tante altre memorie nel cuore di ciascuno di noi, che riguardano momenti difficili, anche drammatici della vita del nostro mondo – pensiamo alle guerre –, ma anche della vita della nostra città, della vita familiare e della storia di ciascuno di noi. Sono molte le difficoltà che incontriamo anche personalmente, pensiamo soltanto a quelle relazionali, le fatiche di oggi di avere affetti stabili; e ogni volta che un affetto si interrompe è comunque una ferita. Pensiamo alle fatiche e alle incertezze che nascono quando una malattia si presenta nella nostra vita. E quanto è importante in quei momenti sentire la presenza di qualcuno che ci ascolta, ci accompagna o semplicemente “sta” vicino a noi. Quella vicinanza è una carezza di Dio nei momenti di sofferenza e tristezza.
Anche Paolo, seguendo la Lettera che ha scritto a Timoteo, ha avuto notevoli difficoltà, al punto che alcune espressioni potrebbero farci intravvedere un momento di stanchezza, di fatica. Nella Lettura di oggi dice: «Figlio mio, – rivolgendosi a Timoteo – Dema mi ha abbandonato – questa parola “abbandono” è effettivamente una parola che fa soffrire – avendo preferito le cose di questo mondo, ed è partito per Tessalònica». (2Tm 4,10). Sembrerebbe una lamentela, però, subito dopo troviamo un’altra espressione, scritta in tono e carattere personale: «Solo Luca è con me».
Nella sofferenza e nello sconforto per l’essere stato abbandonato Paolo sottolinea la presenza di Luca.
Qualcuno è con lui – “solo Luca” – ma Luca c’è! Quasi un segno del permanere dell’affetto di Dio nei suoi confronti. Lui, in questo momento difficile ha con sé Luca, e ringrazia il Signore che Luca sia con lui, quasi come una carezza del Signore: Luca è con Paolo.
Luca è un evangelista, ci ha trasmesso il vangelo con quelle note bellissime e familiari per tutti noi che riguardano la misericordia di Dio, l’esperienza comunitaria. Ma Luca – ci insegna san Paolo – non solo ha trasmesso un vangelo che è paradigmatico per l’annuncio, ma quel vangelo l’ha incarnato nella sua vita e lo vediamo nello stile di vicinanza, nello stare accanto. Luca parla con la sua vicinanza e anche così annuncia a Paolo, che è in un momento di difficoltà, la fedeltà del Signore.
Luca annuncia il vangelo con la vita. Questa è una sottolineatura molto importante anche per noi. Anche noi – medici, iconografi e catechisti e tutti i battezzati – siamo mandati come vangelo, noi con la nostra persona, con il nostro cuore, con la nostra capacità di essere vicino. I gesti della vita sono vangelo, sono una parola che il Signore manda a chi è in difficoltà, a chi è ammalato, a chi è sconsolato, a chi è solo. È vangelo annunciato con la vicinanza, con l’amicizia, con la fedeltà, con l’esserci, semplicemente. Luca è stato vangelo prima di aver scritto il vangelo!
«Solo Luca è con me». Paolo, in questa vicinanza, ha trovato conforto e sostegno per la sua fede nella misericordia di Dio.
Questa sera ci vengono indicate alcune strade per immaginare e rileggere la nostra vita come vangelo vissuto. Infatti, a volte, il Signore si serve di noi e suscita nel nostro cuore e nella nostra umanità la necessità di essere accanto; ci fa strumenti della sua misericordia.
L’esempio di Luca dice a voi medici che la vostra professione può essere davvero un seme di vangelo: l’annuncio che Dio si prende cura sempre, anche nei momenti più difficili della nostra vita. Anche il medico con la sua modalità di approcciare il malato, nel suo atteggiamento di cura, nel suo modo di comunicare con il paziente e i familiari può dire ed esprimere la vicinanza del Signore. Un gesto, uno sguardo, uno stile. In occasione del Covid qualche medico, nella tragicità di quel momento, nella solitudine delle corsie d’ospedale, ha anche osato di più dicendo: «Guarda che il Signore ti vuole bene». Certamente, anche questo, è un modo per consolare, per esprimere vicinanza, interesse, attenzione.
«Solo Luca è con me». Ma Luca era accanto a Paolo!
La stessa cosa vale anche per i catechisti: con l’affetto, con la conoscenza dei singoli bambini o ragazzi, ma anche con i genitori, con il chiamarli per nome, il saperli riconoscere, l’essere vicini… con questi atteggiamenti dicono “ti voglio bene”, “mi stai a cuore”. E voler bene è annunciare il vangelo anche con il cuore.
Potremmo dire “solo questa o questo catechista è con quel bambino”: vuol dire che il Signore è accanto a quel bambino! Le relazioni che stabiliamo diventano un canale privilegiato tramite il quale il Signore fa giungere il suo amore.
«Solo Luca è con me». Ma Luca c’è!
E a voi iconografi dico: quanta bellezza ci offrite con la vostra arte che è preghiera.
La scrittura di un’icona con la preghiera è un modo per parlare dell’amore di Dio, per rivelare l’amore di Dio. Riempire quell’icona di Spirito permette di mettere in contatto il Signore con chi poi vi poserà lo sguardo e gli farà sentire la sua vicinanza.
Ecco sono tre strade per dire: «Solo Luca è con me», ma Luca c’è, e il Signore quindi non si è dimenticato di me.
Aggiungo un’ultima riflessione: lo stile di annunciare il vangelo con la vita integra e completa quello fatto con le parole e permette anzi di allargare questo incontro a fratelli di altre confessioni. E insieme riconosciamo il desiderio che Gesù ha espresso soprattutto nel vangelo di Giovanni: «che siano uno». Sono riconoscente per la presenza, stasera, delle altre Chiese cristiane, perché esprime il desiderio che penso abbiamo tutti nel cuore: di essere uno nel Signore Gesù e nella sua parola, di essere «Solo Luca!»; dovremmo essere un solo cuore perché tutto il mondo possa vedere la bellezza del vangelo.
+ Claudio Cipolla, vescovo

