Le festività del Natale ci hanno dato la possibilità di fermarci, di stare in famiglia, di ritrovarci assaporando il piacere dello stare insieme… di vivere le relazioni.
Come i pastori ci siamo ritrovati per adorare il Salvatore, questo bimbo venuto al mondo senza tanto clamore, riscoprendo come comunità cristiana, la gioia di ritrovarci, di essere lì insieme con il nostro vissuto, la quotidianità, attorno a quella mangiatoia diventata giaciglio per quel bimbo avvolto in fasce.
Come i pastori avvertiamo il bisogno di stare in adorazione, di sostare alla presenza del Signore, di riscoprirci come credenti, come comunità.
Non sono a volte le nostre comunità sempre più luoghi del fare? Fare incontri, fare gruppi, fare feste, fare servizi, fare catechesi, fare sagre… quasi dimenticandoci di essere comunità che mette al centro le persone, le relazioni, gli incontri, le attenzioni, smarrendo il centro che è l’incontro con Gesù, visibile nella comunità che accoglie, consola, vive la carità, dona un sorriso, sosta…
La nuova ottica del cammino di IC ci aiuta ad essere comunità più che a fare comunità, privilegiando le relazioni con i genitori, con i bambini/ragazzi, invitandoci a fare un cammino personale per metterci in gioco come persone prima di tutto e crescere nella fede, imparando la condivisione, il confronto e la dimensione del lavoro in equipe, la volontà di metterci in relazione con gli adulti, senza pregiudizi, senza giudicare, ma solo accogliendo chi per prova o per scelta, accetta di ascoltare questo secondo/“primo annuncio” di fede, questo messaggio di amore salvifico che ci cambia la vita, che vuole dire qualcosa alla nostra vita di uomini e donne.
In che cosa la tua comunità ha bisogno di essere trasformata?
In che modo possiamo contribuire?
Possiamo come comunità vivere nel nostro piccolo quella “Chiesa in uscita” di cui parla Papa Francesco?
Il Papa ha evidenziato lo stupore che Cristo crea con le sue affermazioni e i suoi gesti: «Quanta gente seguì Gesù in quel momento» e «segue Gesù nella storia perché è stupita di come parla».
E poi ha aggiunto: «Quanta gente guarda da lontano e non capisce, non le interessa… Quanta gente guarda da lontano ma con cuore cattivo, per mettere Gesù alla prova, per criticarlo, per condannarlo… E quanta gente guarda da lontano perché non ha il coraggio che lui ha avuto, ma ha tanta voglia di avvicinarsi! E in quel caso, Gesù ha teso la mano, prima. Non come in questo caso, ma nel suo essere ha teso la mano a tutti, facendosi uno di noi, come noi: peccatore come noi ma senza peccato, ma sporco dei nostri peccati. E questa è la vicinanza cristiana».
I giovani nella lettera alla Chiesa di Padova, frutto del Sinodo dei Giovani, cercano una comunità dove si possa innanzitutto incontrare personalmente il Signore anche attraverso i Sacramenti, per innamorarsi del Vangelo.
“La nostra fede avrà futuro nella prospettiva di una fraternità rinnovata, nel nome del Signore Gesù. Una fraternità intessuta di relazioni forti e calorose, non mosse da dominio, interesse, utilità e convenzioni ma fondate sull’accoglienza, la compassione, il rispetto, il reciproco riconoscimento, il perdono, l’ospitalità e la condivisione. Compito allora delle nostre comunità cristiane non è di bloccare o sconfiggere il processo di secolarizzazione o di scristianizzazione in atto, ma di annunciare il seme buono del Vangelo, con larghezza e gratuità, accettando che sia accolto o meno. Ogni dono d’amore, infatti, non tende al successo, ma è semplicemente l’offerta di una vita buona, bella e felice nel nome di Gesù” (Dal testo della Diocesi di Padova: “La parrocchia”).
Agricoltori operosi, possiamo essere presenza viva nelle nostre comunità, seminatori di quella semente buona che ha già in sé il germe di un amore vivo, grembo che genera alla fede.
Buona semina!
Paola Fogo