In questo tempo di Avvento siamo invitati a meditare sul significato della parola carità.
Se facessimo un gioco di associazione di idee, credo che quasi tutti, assoceremmo d’impulso ad essa quel “pio gesto” che compiamo quando facciamo elemosina pensando alle necessità dei così detti poveri.
Mi chiedo allora, chi sono oggi questi poveri verso i quali Gesù, durante la sua missione, ha dimostrato una cura e un’attenzione particolare, rendendo presente l’amore del Padre per chi è ferito nella sua umanità da precarietà di vario genere?
Mi rendo conto che oltre alla mancanza di beni materiali, esistono altri tipi di povertà che affliggono l’uomo e che sono a prima vista meno evidenti: quella affettiva, morale, psicologica e culturale. Queste, pur non essendo meno devastanti di quelle materiali, spesso vengono ignorate perché più subdole: c’è chi è povero di relazioni umane, c’e chi ha fame di affetto e di gesti di attenzione, c’è chi vive la precarietà della mancanza di ascolto… tutti questi poveri che incontriamo ogni giorno fuori e dentro le nostre comunità, – in cui spesso mi sono rispecchiata anch’io, – mi interrogano sul mio modo di essere cristiana, cioè “di essere di Cristo”; mi provocano, chiedendomi quanto la mia relazione con Gesù abbia davvero “contagiato” la mia vita, quanto in verità mi abbia guarito e convertito.
Mi domando spesso se la mia spiritualità sia fatta solo di tanti riti e operosità, – come quel fico pieno di foglie belle a vedersi, ma sterile -, o se essa invece è un qualcosa che porta frutti buoni di cui il mio prossimo, tra cui in primis i miei figli, mio marito, i miei amici, possano cibarsi…
Mi viene spontaneo allora riflettere con voi sul significato di carità come Agàpe quell’amore “di sovrabbondanza” che umanamente non ci appartiene perché porta in sé un sigillo divino e che quindi non può essere frutto dei nostri sforzi, ma che è quello che Gesù stesso per primo ha incarnato e lasciato a noi come sua eredità.
Nelle nostre relazioni noi facciamo esperienza di altri tipi di amore: l’attrazione che nasce per una persona dell’altro sesso e che ci spinge a desiderarla e a sceglierla come compagna di vita; la sintonia frutto dell’amicizia che qualcuno ha definito “amore senza ali”, ovvero una sorta di affetto e di complicità che unisce individui molto simili tra loro o che condividono interessi e passioni.
La Carità, come Agàpe di cui ci parla molto bene San Paolo nella famosa lettera ai Corinti, cap 13, è però qualcosa di diverso.
È un sentimento che non è sottoposto al nostro stato d’animo o desiderio, né è legato al tornaconto che possiamo avere in cambio; non si lascia condizionare dal merito o dall’amabilità della persona che lo riceve ma è assolutamente gratuito: quello che lo suscita è il bisogno dell’altro di essere amato.
Questa forma di amore supera di gran lunga i più grandi carismi e dovrebbe impregnare e motivare ogni azione della nostra vita personale e comunitaria.
Ricordo di aver letto una frase di Don Tonino Bello riguardo all’importanza della Carità come valore irrinunciabile ed essenziale perché una comunità cristina possa far crescere, vivere e testimoniare la propria fede: “la Chiesa evangelizza non solo predicando, ma amando”.
Quando il Maestro incontrava una persona questi sentiva su di sé il Suo sguardo pieno di amore, veniva guarito dal Suo tocco sanante, e consolato e dalla Sua parola liberante e piena di speranza, si sentiva cioè profondamente ed unicamente cercato ed amato…
Ripensando ancora alla Lettera di Paolo mi rendo conto che egli scrive ad una Chiesa che sta sperimentando le stesse nostre debolezze: invidie, divisioni e discordie che mostrano come in uno specchio anche le fragilità che respiriamo a volte nelle nostre comunità parrocchiali e di fronte alle quali è umano rimanere delusi e scoraggiati… ma mi auguro, mai scandalizzati! Il peccato, porta già con sé un salario di morte: chi sbaglia, non ha bisogno di essere schiacciato dal nostro giudizio. Ho sperimentato come anche la nostra fragilità possa diventare occasione di incontro con il Padre, quando da essa si alza un grido, un desiderio di salvezza : questo è il momento in cui diventiamo permeabili alla Grazia.
Credo allora che Carità sia in primis riuscire ad andare oltre alle debolezze dei nostri “fratelli di Cammino” vincendo e superando la delusione o il desiderio di lasciare…
Il Signore ha chiamato il popolo di Israele, per farne il suo popolo anche se – come dice la Parola nel Deuteronomio-, esso era il più piccolo tra i popoli; e così ha fatto anche con noi, persone assolutamente deboli ed inaffidabili chiamate però a far parte della Sua Chiesa, Sposa resa degna e fedele soltanto in virtù della Sua Grazia…
Concludo con un’immagine che mi riporta alla sera del giovedì santo, quando il sacerdote, spogliato dei suoi paramenti, si cinge la veste e si inginocchia a lavare e baciare i piedi di alcuni membri della comunità… ogni volta questo rito a cui assisto mi commuove e mi turba profondamente: in esso io vedo il Maestro che si inchina per prendersi cura della parte più miserevole e sporca della nostra umanità, senza scandalizzarsi di questo, e poi nell’Eucarestia si dona gratuitamente dicendoci “mangia di me e prendi di me”…
Allora credo che di fronte alle povertà umane che incontriamo ogni giorno di cui alcune frutto del peccato, siamo chiamati anche noi che siamo “di Cristo”, a restituire a chi ci sta vicino tutto l’amore e la compassione che Lui ha riversato nei nostri cuori in misura “pigiata e traboccante”.
Carità come Agàpe che è il modo con cui ci ama Dio, è una vocazione a cui tutti siamo chiamati, ed è il frutto di una relazione forte, personale, intensa ed appassionata con Gesù Cristo il quale per primo ha incarnato e portato nel mondo questo tipo di Amore, Amore… “made in Dio”.
Buon cammino, insieme !
Alessandra Cipolotti