Si tratta, scrive Papa Francesco, di iniziare processi più che possedere spazi e dichiara che questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, ricordando la parabola del grano e della zizzania (Mt 13,24-31).
Non parliamo spesso di pazienza pastorale ma qui c’è qualcosa di più: non la semplice sopportazione, ma la concimazione del terreno. Sulle nostre spalle grava non la trasmissione della fede in quanto tale, che rimane dono da accogliere, bensì la testimonianza del bellezza del credere. Iniziare alla fede significa porre alcune condizioni perché la persona coinvolta possa credere, cioè la grazia liberamente offerta dal Signore possa venire liberamente accolta dal destinatario. Questa consapevolezza implica la certezza che noi non possiamo fare da padroni, della fede altrui, ma siamo solo i collaboratori della loro gioia. (2Cor 1,24) ovviamente ciò non toglie nulla all’impegno costante per l’iniziazione alle fede; ridona semmai, le giuste dimensioni e preserva dal rischio di accollarsi dei bilanci troppo precisi. La comunità che genera alla fede deve mirare meno al conteggio e più al contagio, meno al calcolo dei risultati e più alla gioia della testimonianza, meno alla quantità delle adesioni e più alla qualità delle relazioni. A noi è chiesto di accompagnare la fede, non di farla sorgere, di creare le condizioni perché questo avvenga: opera che, grazie a Dio esula dal nostro potere e appartiene al suo.