Con il Natale celebriamo un nuovo inizio, una nuova creazione che si compie in Gesù, manifestazione di un Dio che entra non soltanto nella storia dell’umanità ma anche in quella personale di ciascuno di noi, con i suoi fallimenti, con le sue ferite e momenti bui, per sanarla e dargli nuova fertilità.
Quando penso ai giorni appena trascorsi mi scorrono davanti agli occhi immagini di festa : le luci e i fiocchi rossi dei palazzi del centro, i drappi d’oro sull’altare, l’odore d’incenso, i sorrisi e gli abbracci per lo scambio degli auguri, tavole imbandite e vestite di rosso, pacchetti colorati… tutto è un richiamo alla gioia e alla condivisione…
Ma c’è un'altra immagine che custodisco nel cuore, per nulla festosa o sdolcinata e che mi ha commosso profondamente perché è lo specchio della medesima realtà che vivono molte nostre famiglie della Comunità, segnate dalla malattia e dalla sofferenza, fratelli e sorelle che anche se non partecipano alle nostre celebrazioni, ugualmente sperimentano e celebrano nella loro quotidiana sofferenza il Signore Gesù vivo e presente.
Sono arrivata a casa di questa famiglia a me vicina dopo aver trascorso la prima parte della giornata tutti insieme dal nonno, tra risate, festeggiamenti e scambio di doni.
La tavola era ancora imbandita con dolci e frutta secca, ma l’atmosfera era molto più sobria e silenziosa. Ho passato un po’ di tempo chiacchierando ed assaggiando qualche leccornia che mi veniva offerta, per non essere scortese con la padrona di casa, ma attendendo con impazienza che arrivasse il momento di salutare chi stava nell’altra stanza, e che in quel momento stava riposando.
Era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che io e i miei eravamo passati a far visita a quella casa e il Natale mi sembrava la giusta occasione per passare un po’ di tempo insieme. La malattia, in questi ultimi dieci anni ha accompagnato come una parente invadente sia la vita della mia famiglia di origine, sia di quella attuale e pertanto anche i miei figli, compreso il più piccolo, la vivono come un evento abbastanza naturale anche se difficile da capire.
Arrivata l’ora di servire la cena, ho accompagnato la moglie in camera, dove da mesi il marito, malato di Alzhaimer, giace a letto.
È stato lì, in quella stanza, che ho vissuto la mia seconda liturgia di Natale, una liturgia domestica. Non c’erano i drappi dorati e ricamati dell’altare, ma lenzuola linde e profumate, attorno alle quali si affaccendava con delicatezza e con premura quella donna che ogni giorno compiva gesti di cura e di amore con una delicatezza ed attenzione quasi reverenziali; nell’aria non aleggiava profumo di incenso, ma l’odore delicato del balsamo usato per curare le piaghe di quel corpo rattrappito ed immobile sul letto… Ricordo che quel viso scavato, segnato dalla malattia e adagiato sul cuscino è diventato in quel momento per me, icona vivente del volto di Cristo sofferente, immagine di Colui che porta tatuato sul suo corpo tutto il dolore dell’uomo. Mi sono avvicinata e per accarezzare piano e salutare quell’uomo che lo scorso Natale era stato a tavola con noi, aveva giocato e scherzato con il mio figlio più piccolo, e lui, guardandomi mi ha detto con un filo di voce, quasi un sussurro “Ehilà… ciao, come stai?”. Ero andata a dargli da mangiare un po’ di volte quando era ancora in ospedale, non credo che ricordasse chi fossi in verità; mi ha commosso comunque che avesse riconosciuto il mio volto, la mia voce e ancor di più che chiedesse a me come stavo…
Mi sono chinata per baciarlo sulla fronte e in quel momento quel bacio per me non è stato solo un semplice gesto di affetto verso un mio parente, una persona cara, ma è diventato il bacio dato alla croce di Cristo la sera del venerdì santo. In quella stanza, dove ero andata per portare un po’ di calore e vicinanza, io stessa avevo fatto esperienza di un incontro che mi aveva dato sollievo e consolazione, ma non solo: la serena accettazione con cui sua moglie lo accudiva, la generosa offerta di sé che perpetuava ogni giorno, da mattino a sera, la premura e la delicatezza che metteva in ogni gesto, proprio lei che avevo conosciuto come una donna un po’ ruvida e sbrigativa, mi hanno spiegato il significato della parola amore, fedeltà, e vita offerta come sacrificio gradito a Dio.
L’ho benedetta e ringraziato per la testimonianza forte che mi ha dato, lei, una persona “lontana” dalla Chiesa, secondo i nostri canoni, ma io credo molto vicina al cuore di Dio, più di quanto io potessi pensare.
Infatti, questo modo di vivere l’esperienza del dolore e della malattia che fanno parte della nostro essere creature, come offerta di sé, diventa, per chi ci è vicino, veicolo di Grazia, perché luogo della Sua presenza.
Possa questo tempo di Natale allora farci sentire ancora di più lo zelo e l’urgenza di testimoniare la presenza di Dio, la vicinanza della Sua Chiesa, nelle diverse situazioni di sofferenza, di solitudine che conosciamo affinché per chi da e chi riceve, il soffrire sia luogo di apprendimento della speranza” (Benedetto XVI).
Buon cammino insieme…
A.C.