Di queste “cene di famiglia” ricordo con piacere non tanto il cibo, o il luogo, ma piuttosto l’intima e piacevole condivisione che ho respirato e il calore che tutto ciò mi ha trasmesso: le risate, le prese in giro bonarie, la narrazione di aneddoti divertenti del nostro passato, tutto quello che abbiamo vissuto insieme o che stiamo vivendo è diventato il vero cibo condiviso su quella tavola, è stato quello che ci ha saziato e riscaldato il cuore, è stato il gustoso condimento di ogni pietanza.
Non mi riesce difficile quindi capire come
Mi piace pensare anche che Gesù abbia scelto proprio pane e vino, perché sono un cibo e una bevanda conosciuti e apprezzati in ogni luogo e da ogni popolazione, e li abbia trasformati nel dono di sé, pane che si spezza e si lascia mangiare segno del Suo corpo straziato, violentato e annientato, vino segno del Suo sangue, energia vitale versata e donata fino all’ultima goccia.
C’è anche qualcosa di stupendo che ci coinvolge in prima persona: durante la benedizione del pane e del vino il sacerdote dice che pane e vino sono frutto della terra e del nostro lavoro a significare quindi che ogni uomo, che ciascuno di noi, è chiamato a costruire un’alleanza con Dio capace di nutrire e dare vita.
Nel banchetto Pasquale Gesù si dona a noi e oggi come allora ci dice “mangia di me e bevi di me, assorbi la mia forza di vita, ricevi ciò che io sono, diventa parte di me e vivi attraverso di me e con me, sii tu stesso cibo e bevanda per i tuoi fratelli; io sono tuo e tu sei mia”.
Dunque, mentre nella notte della Pasqua ebraica si sacrificava un agnello la cui carne veniva consumata e il cui sangue veniva applicato sugli stipiti della porte come segno che Israele era pronto a vivere la libertà dalla schiavitù, oggi per noi nell’Eucarestia è Cristo che si offre come cibo di cui nutrirci, condizione indispensabile per avere la vita eterna, la libertà dei figli di Dio.
È Cristo il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto, pane vivo disceso dal cielo, viatico di vita eterna, porta della misericordia, Agnello immolato che ci strappa dall’oscurità del male, che scende nel profondo del nostro abisso per trarci fuori e riportarci alla vita.
È Lui lo Sposo impaziente che bussa alla nostra porta perché vuole che ci apriamo a Lui, perché vuole strapparci dalla nostra solitudine ed essere un tutt’uno con noi.
Questa è la Pasqua: un incontro capace di trasfigurare la nostra vita profumandola con la Grazia, dono del Signore Risorto.
Vivere la Pasqua vuol dire anche essere disposti a lasciarci alle spalle un passato di morte e schiavitù: i pensieri negativi su noi stessi e sugli altri che ci incatenano, le angosce per il futuro che ci paralizzano, la muta rassegnazione che ci lega a cattive abitudini e ci fa perdere l’energia e la voglia di cambiare.
Pasqua è aprirci all’orizzonte di novità e di speranza che l’incontro con il Risorto ci dona, è rompere con tutto ciò che non è vita.
Auguro che questa Santa Veglia possa donarci di comprendere, amare e desidearare di celebrare con tutto il cuore la mente e le forze, l’immensità e la meraviglia del Mistero di Cristo, rivelazione di un Dio che continua a donarsi, che continua a cercare la Comunione con noi, che desidera ardentemente mangiare questa Pasqua con noi.
Buon cammino, insieme.
Alessandra Cipolotti