La richiesta di una testimonianza sul tema del fallimento, ovvero su come un credente vive questa esperienza e che cosa lo aiuta a superarla, mi ha preso un poco in “contropiede”… confesso che, ripensando alla mia vita, non sono riuscita a dare il significato di disastro o rovina ad avvenimenti e situazioni seppure dolorose e difficili: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” dice San Paolo ed ho sperimentato come questa sia una santa verità… Mi sono soffermata invece su un altro significato che viene associato a questa parola: fallimento come situazione o persona che è causa di delusione, e mentre mi preparavo a ricordare in particolare un fatto della mia vita per raccontarlo, mi è subito venuto in mente il Vangelo dei discepoli di Emmaus, ed è stata quella l’occasione per meditare questo brano della Parola che sento molto vicina a noi, uomini e donne in cammino…
L’ Evangelista narra di due persone che hanno visto crollare le loro speranze e che ora stanno quasi fuggendo facendo ritorno alla loro vita di sempre, alla loro quotidanità. Essi portano dentro il cuore la tristezza e la delusione per quanto accaduto: quello stesso Gesù che una settimana prima era stato acclamato come un re, dopo pochi giorni è stato rinnegato, tradito, processato e condannato a morte ed è morto in croce come il peggiore dei malfattori… Di Lui è rimasta solo una tomba vuota: in poco tempo quei due uomini hanno visto azzerare le loro speranze coltivate in anni di sequela e di condivisione vissuti con il Maestro, hanno visto deluse le loro aspettative… più fallimento di così?
Sento molto vicina alla nostra umanità l’esperienza esistenziale dei due discepoli e mi piace pensare che Luca abbia voluto lasciare senza nome uno dei due personaggi perché ciascuno in quel discepolo possa identificarsi.
Anche noi, lungo il cammino della vita, ci troviamo a vivere situazioni di insuccesso, di dolore, di malattia, di precarietà che fanno crollare i nostri progetti, le nostre aspettative; e a volte possono essere le persone che abbiamo vicino a ferirci, a deluderci, a causa delle loro fragilità; il fallimento, la delusione, fanno parte credo del nostro essere creature, della nostra umanità, e da queste esperienze, certamente dure, ma senz’altro educative, nessuno è preservato…Credere non ci preserva dal dolore, dalla precarietà, dal fallimento, cioè dalla croce, ma in quei momenti in cui l’angoscia ci stringe la gola, in cui il dolore sembra quasi schiacciarci, la nostra fede, sorgente di speranza, è quella fiamma che, entrando nel tunnel buio della sofferenza, ci permette di incamminarci fino all’uscita senza sbattere contro le pareti, senza restare immobili e paralizzati… Certo è che in quei momenti affidarsi ad un altro, diventa una scelta difficile, un combattimento, una lotta contro la nostra ragione. Qualcuno ha scritto che credere è come trovarsi sull’orlo di un burrone buio, e sentire una voce che ti dice : “Buttati, perché ci sono io che ti prendo”, e tu puoi scegliere o no di buttarti, affidandoti soltanto a quella voce…!
Ritornando all’esperienza di Emmaus, mi piace e mi commuove la delicatezza con cui Gesù affianca i due discepoli e si mette in ascolto: quante volte Signore, nella nostra preghiera ti abbiamo gridato la nostra paura, la nostra delusione, e tu ci hai ascoltato e consolato; quante volte lungo il cammino ti sei fatto compagno di viaggio proprio in quei monmenti di “salita e vento in faccia”, ma non abbiamo avuto occhi per riconoscerti presente nei fatti o nelle persone che avevamo accanto! Quante volte o Signore, la Tua Parola ci ha di nuovo scaldato il cuore svelandoci il giusto senso e il giusto orientamento della nostra vita!
Credere è vivere con la certezza che non siamo soli, e che siamo accompagnati. Essere di Cristo vuol dire vivere ogni giorno e in ogni momento questa appartenenza, ricercando e alimentando la relazione con Gesù vivo, e presente che cammina con noi. Egli, che non possiamo vedere con gli occhi della carne, si fa riconoscere nella Parola, nell’Eucarestia, ma anche in tutti quei piccoli gesti di accoglienza, di aiuto, di consolazione che ci danno sollievo e che riceviamo dalle persone che abbiamo accanto, e pure in tutti quei segni, quelle “piccole gocce di Grazia” che Lui prepara per noi ogni giorno e attraverso i quali si manifesta.
E che ne è dell’uomo lontano, di colui che non ha ancora conosciuto Gesù Cristo?
Tante volte mi interrogo riguardo alla mia “chiamata” a far parte della Chiesa: mi domando perché io sì, e tanti altri no… A riguardo mi viene in mente la Parola in cui i Cristiani vengono paragonati al lievito e al sale – e penso che la risposta è proprio in questa similitudine che ha fatto Gesù: in un impasto il lievito è solo una piccola parte – come sono i Cristiani nel mondo – eppure una parte importante e necessaria perché anche gli altri ingredienti diventino quello per cui sono stati “impastati”… e così è anche per il sale: solo un pizzico basta perché in una pietanza anche tutti gli altri ingredienti sprigionino il loro sapore – perché senza sale anche il piatto più raffinato non sa di niente. Credo allora che così come tutto non può essere solo sale o solo lievito, forse non è importante che tutti diventino sale, cioè cristiani, ma è altresì necessario che tutti vengano “salati”, ovvero che alle persone possa essere annunciato Gesù Cristo Risorto cosicché la vita di ognuno possa acquistare sapore, “gusto”, senso.
E come può Gesù Cristo raggiungere chi è lontano, se non attraverso me e te, attraverso la nostra testimonianza, attraverso la nostra vita quando essa diventa segno tangibile di questo Amore?
Sento forte l’urgenza di portare la Buona Notizia alle persone: ci sono famiglie divise dalla mancanza di dialogo, segnate dalla malattia, ferite dall’incapacità di perdonarsi, schiacciate dalla precarietà economica; tutte queste situazioni hanno necessità ed urgenza di incontrarsi con la potenza sanante e liberante dell’Amore del Padre in Gesù Cristo, e come? Attraverso una Comunità di persone attente e sollecite nell’ascolto, disposte ad accogliere ed accompagnare. Ma perché questo si compia c’è bisogno che nasca in noi Comunità chiamata a generare alla fede, “un di più” di misericordia, di pazienza, di perdono, insomma di carità, che non possiamo però darci con le nostre forze, perchè è un dono gratuito frutto di un incontro che cambia il cuore, l’incontro con il Risorto!
Alessandra Cipolotti