SPECIALE CATECHISTI / marzo 2010

La pedagogia del gesto interrotto
Così ognuno può compiere il suo personale cammino di fede
 
Nonostante la primavera da più giorni avesse già bussato alle porte dell’inverno, faceva ancora molto freddo e la mamma decise di far indossare la giacca di lana al figlio, desideroso di uscire nel cortile per giocare con gli amichetti di sempre. La mamma prese la giacca dall’armadio, si avvicinò al figlio con grande tenerezza e porgendogli la prima manica gli disse: «Matteo, infila qui il braccio!». La mamma ebbe l’attenzione di non prendere il braccio di Matteo per infilarlo con decisione nella manica, ma stette ad aspettare che Matteo procedesse da solo, e che da solo trovasse la direzione giusta a completare l’azione da lei stessa iniziata. La mamma di Matteo restò in attesa e non obbligò il figlio a compiere il gesto, anzi lasciò a Matteo la libertà di scegliere, dandogli fiducia.
Tutti i genitori sanno, come anche tanti educatori, che per rendere autonomo un bambino, stimolarlo nella sua capacità di autodeterminazione, è di fondamentale importanza aiutarlo a compiere tutte quelle azioni che siano in grado di incrementare la sicurezza, la padronanza di sé, la fiducia nelle proprie scelte. È essenziale incentivare lo sviluppo della sua creatività, perché sappia dare a ogni gesto una sua tipica impronta personale.
La possibilità, lasciata al bambino, di completare con la sua originalità l’azione educativa compiuta dall’adulto va sotto il nome di “pedagogia del gesto interrotto”. Il gesto interrotto, in particolare, è quell’azione iniziata dall’adulto, ma lasciata volontariamente aperta affinché il bambino la porti a compimento, secondo un proprio schema decisionale. Il gesto interrotto consente all’adulto di “stare in ascolto”, di attendere la risposta del bambino; a volte i tempi sono lunghi ma permettono di cogliere aspetti della persona che altrimenti non emergerebbero mai.
E se ciò è basilare nel campo dell’educazione in senso generico, lo è ancor di più nel cammino dell’iniziazione cristiana, dove, ancora una volta, il bambino segue i passi dell’adulto, catechista o genitore che sia!
Il catechista dunque deve far vivere ai bambini o ai ragazzi a lui affidati esperienze che permettano loro di esprimere in maniera personale le proprie conoscenze, la propria sensibilità religiosa, la propria relazione con Gesù e con la chiesa. Deve permettere che ogni ragazzo compia il suo personale cammino di fede, di incontro con Gesù, senza che nessuno si senta costretto a seguire ciò che altri hanno deciso. Anche l’azione del catechista, perciò, deve in alcuni casi interrompersi, per lasciare ai ragazzi la possibilità di decidere.
Il catechista deve avere, in altri termini, l’attenzione del gesto interrotto, cioè la premura della mamma di Matteo, che ha provocato il gesto, ma non lo ha imposto, che ha dato delle indicazioni, ma non ha preteso una risposta predeterminata. Seguendo l’esempio della madre di Matteo, il catechista sicuramente vivrà con maggior serenità il proprio servizio, perché meno preso dall’ansia da prestazione, meno preoccupato di spiegare fino in fondo il capitolo del catechismo e di trasmettere nozioni; e gli incontri saranno per i ragazzi meno noiosi, meno scolastici, meno imbrigliati in schemi imposti, ma più familiari, più liberi e soprattutto più in sintonia con le risorse che ogni bambino possiede perché amato da Dio ancor prima che da qualsiasi adulto. Saranno incontri più pasquali perché faranno rinascere la gioia e la speranza di ritrovare un Gesù vivo e risorto vicino alla vita di ciascuno: bambini, ragazzi e catechisti.
don Giorgio Bezze
direttore dell’ufficio catechistico
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