SPECIALE CATECHISTI / marzo 2011

“Comunità” è una parola che usiamo con estrema facilità. È inserita in tutti i nostri documenti e in tantissime relazioni a carattere pastorale. Ricordo che durante la conferenza di un noto teologo, a cui partecipai qualche anno fa, la parola “comunità” venne citata per ben 347 volte! Ne restai impressionato! D’altra parte, non potrebbe essere altrimenti, visto che il cristiano, per sua stessa natura, è profondamente legato alla comunità. È la comunità cristiana che genera alla fede, e la fede non può essere vissuta individualmente; essa ha un legame imprescindibile con la comunità e, dunque, con la chiesa.
Più volte, quando parlo dell’iniziazione cristiana, faccio anch’io riferimento alla comunità, al suo valore e al suo ruolo insostituibile nell’educazione alla vita cristiana delle nuove generazioni. Proprio in quelle occasioni, molto spesso mi sento rivolgere le stesse domande: «Cosa intendi per comunità? Chi è la comunità? Da chi è rappresentata? E, soprattutto, quando si parla di iniziazione cristiana a quale comunità si fa riferimento?».
Si tratta di domande che nascono dalla difficoltà del raffronto tra la formalità dei documenti e la concretezza della realtà, e ancor di più dalla difficoltà del raffronto tra generazioni diverse, nelle quali sono state maturate differenti esperienze di vita all’interno della comunità cristiana.
La complessità nel capire cosa si debba intendere per “comunità cristiana” l’abbiamo sperimentata anche durante l’incontro congiunto degli organismi di partecipazione, il 29 gennaio scorso, e durante l’assemblea diocesana dei catechisti del 13 febbraio, alla presenza di padre Rinaldo Paganelli.
Per questo vi invito, per chi non l’avesse ancora fatto, a leggere con attenzione la sua relazione, che verrà pubblicata in due parti su Speciale Catechisti (la prima su questo numero; la seconda nel prossimo).
Da parte mia, vorrei chiarire cosa intendo per “comunità cristiana”, nel contesto del cammino di iniziazione cristiana.
Quando parlo di “comunità cristiana” mi riferisco alla parrocchia, a quella porzione di chiesa particolare che rende «visibile la chiesa come segno efficace dell’annuncio del vangelo per la vita dell’uomo nella sua quotidianità e dei frutti di comunione che ne scaturiscono per tutta la società» (nota pastorale della Cei Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n° 3).
Quindi, non una parrocchia intesa unicamente come parte di territorio delimitato da confini ben precisi, né semplice nucleo di abitanti che appartengono a una determinata zona geografica della diocesi.
E quando si nomina la “comunità cristiana” soggetto dell’iniziazione cristiana, non si pensa neppure che questa coincida con il paese come lo era al tempo della cristianità diffusa, dove la comunità civile si identificava con quella parrocchiale.
La “comunità cristiana”, che è chiamata ad accompagnare il cammino di iniziazione cristiana dei ragazzi, è quella comunità costituita dalle generazioni di giovani e adulti che hanno la consapevolezza del proprio battesimo, che vivono stabilmente lo stile della vita cristiana sentendosi parte della parrocchia, che partecipano fedelmente all’eucaristia domenicale «svelandone la natura di mistero e di comunione”. (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n° 4).
Solo i cristiani veramente consapevoli della loro scelta di fede, che appartengono realmente alla parrocchia e che quotidianamente si impegnano a vivere con coerenza i valori evangelici, possono essere veri accompagnatori nell’introdurre alla vita cristiana le nuove generazioni.
Questi cristiani non sono perfetti, ma sono coloro che si sforzano di essere testimoni del loro incontro con il Risorto. Sono giovani e adulti che non necessariamente hanno ruoli direttamente educativi (catechisti, educatori Acr, scouts, ecc.), ma che di certo sanno raccontare ai più piccoli (e anche ai loro coetanei, visto che l’iniziazione cristiana riguarda sempre più anche i giovani e gli adulti), come si siano lasciati plasmare dall’incontro con il Risorto, come questo incontro riempia le loro vite e come, giorno dopo giorno, si possa diventare credenti cristiani.
Solo chi sa essere autentico testimone cristiano sa esprimere la paternità e la maternità nella fede, attraverso una partecipazione piena e diretta alla vita della chiesa. È questa e solo questa la “comunità” che diventa soggetto insostituibile per sostenere le nuove generazioni nel cammino di iniziazione cristiana.
 
don Giorgio Bezze
direttore dell’ufficio catechistico diocesano
 
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