EDITORIALE
L’impegno: annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo
Gli orientamenti della chiesa italiana per il prossimo decennio sono incentrati sull’educazione alla vita buona del vangelo. Sappiamo bene come le nostre comunità cristiane, e in particolare gli ambienti della catechesi, siano luoghi educativi per eccellenza.
“Educare” è un termine che accompagna la chiesa fin dalle sue origini: l’educazione è strettamente legata all’evangelizzazione, tanto da riconoscersi in essa. Non c’è evangelizzazione senza educazione e non c’è vera educazione senza il riferimento alla buona notizia del vangelo.
L’annuncio evangelico e la costruzione del regno corrono di pari passo con l’azione educativa di Gesù che prende forma e si plasma in colui che lo segue. Non c’è annuncio del regno, non c’è ricerca della perla preziosa o della moneta perduta, non c’è ritorno al padre o pesca abbondante, senza un percorso e un accompagnamento, un susseguirsi di tappe in cui i discepoli di Gesù conoscono se stessi e imparano a conoscere chi è Dio.
Chi accoglie la buona notizia, diventando discepolo di Gesù, viene educato dal suo insegnamento ed è chiamato a essere, a sua volta, annunciatore del vangelo.
Educare, per un catechista, è al tempo stesso un dono, un compito e un impegno: è un dono perché Dio chiama a diventare collaboratore della sua opera creatrice; è un compito perché la chiesa si affida ai suoi figli per esprimere la sua maternità nel generare alla vita cristiana; è infine un impegno perché occorre creare quelle particolari condizioni affinché ci sia vera conversione.
Non c’è vera catechesi senza un accompagnare, un condividere i passi dell’altro, un indicare, nel rispetto della libertà, la strada. Non c’è vero annuncio di vita buona senza una vera e convinta testimonianza personale.
Quella dell’educatore è una missione complessa e delicata. Un buon formatore, chiamato a educare alla vita buona del vangelo, deve saper accogliere chi ha davanti, senza pregiudizi. Deve saper valorizzare ogni persona e ogni esperienza. Deve avere la capacità di ascoltare, di entrare in empatia con gli altri e di comprendere i bisogni di chi gli sta accanto.
Ma ogni catechista deve anche essere flessibile, aperto e disposto ad accogliere il nuovo. Deve rinnovarsi e saper rinnovare. Deve essere in un continuo cammino, fatto anche di attesa, di ascolto e di silenzio: anche questo è educare alla vita buona del vangelo. Ed è questo quello di cui abbiamo bisogno, soprattutto ora che la chiesa di Padova si accinge a iniziare un nuovo anno pastorale.
don Giorgio Bezze
Direttore Ufficio per la Catechesi
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