Vigile custodia

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La cronaca quotidiana parla molto spesso di drammatici delitti non premeditati, di errori umani che innescano gravissimi incidenti, di reazioni non proporzionate alla causa scatenante e che hanno purtroppo spesso pericolose conseguenze, parla di mancanza di senso di onestà nel compimento dei propri doveri e nella gestione delle proprie responsabilità, nell’illusione di riuscire a non essere scoperti.

Sembra che molte persone, forse sopraffatte dal ritmo stressante della vita o prive di valori esistenziali che ne sappiano polarizzare l’attenzione, abbiano perso la capacità o il desiderio, di vivere in modo pieno, arricchente, affidabile e consapevole.

La preghiera liturgia ci viene in aiuto come maestra di vita e ci offre una via chiara e sicura per risolvere questi problemi. Troviamo infatti un’invocazione che dice: “Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore. E donaci i tesori della tua grazia. Perché ardenti di fede speranza e carità restiamo fedeli ai tuoi comandamenti e vivere in un atteggiamento di custodia vigilante“.

Cosa vuol dire custodire? Ci sono vari significati che si completano a vicenda: fare oggetto di responsabile vigilanza o aver cura di cose e persone, preservare da pericoli, insidie, infermità. Alla fine potremmo riassumere che la capacità di custodire è sinonimo di amore fedele, di rispetto per qualcosa o qualcuno che ci è affidato ma non ci appartiene.

In questa luce è facile capire che il vero custode sia Gesù stesso che proprio durante l’Ultima Cena, dopo aver affermato che nessuno ha amore più grande di colui che dà la vita, sapendo di essere punto di lasciare i suoi, anche se solo fisicamente, supplica il Padre: “ …io li ho custoditi…Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca”.(Gv17,1-15)

E la nostra custodia come quella di Gesù deve essere vigilante dove vigilante significa sobrietà, tenere gli occhi ben aperti di colui che ha un fine preciso da conseguire e da cui potrebbe essere distolto se non fosse appunto, vigilante. Il vero esempio di vigilanza è dato dai profeti, cioè da coloro che cercano di scoprire e rendere concreti lo sguardo e la Parola di Dio nell’oggi del tempo e della storia. Unificato dall’ascolto della parola di Dio esso diviene responsabile, cioè cosciente di doversi prendere cura di tutto e, in particolare, capace di vigilare. Ma bisogna usare vigilanza non solo sulla storia e sugli altri, ma anche su di sé, sul proprio lavoro, sulla propria condotta, sul proprio linguaggio, sulla propria affettività, insomma su tutta la sfera delle relazioni che si vivono.

La difficoltà della vera custodia vigilante consiste proprio nel fatto che anzitutto è su di sé che occorre vigilare, perché come il regno di Dio è dentro di noi, così anche il nemico, la difficoltà è dentro di noi e non fuori.

Torna allora a proposito quello che ha detto papa Francesco in una sua omelia a Santa Marta: “…quante volte nel cuore entrano i cattivi pensieri, le cattive intenzioni, le gelosie, le invidie. Sarebbe meglio chiuderlo a chiave come si chiude a chiave una casa perché non entrino ladri e rapinatori. C’è una chiave, ed ha un nome: l’esame di coscienza. Una pratica, tanto antica ma buona, che permette di raccogliersi cioè di stare in silenzio davanti a se stessi e davanti a Dio. E alla fine della giornata domandarsi: cosa è accaduto oggi nel mio cuore? Cosa è successo? Che cose sono passate attraverso il mio cuore? È entrato qualcuno che non conosco?

Se non lo facciamo davvero non sappiamo vigilare bene né custodire bene noi stessi e gli altri.

Giorgio Bezze

 

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