Tra le molte immagini presenti nel web, questa è quella che maggiormente mi emoziona e che più si avvicina alla mia personale idea di deserto: mi parla di inquietante assenza di vita, di mancanza di punti di riferimento, di un luogo arido ed inospitale, dove sembra che nulla possa resistere, dove regna solitudine e silenzio, dove senza una guida esperta non è possibile giungere a destinazione, ma si è destinati a perdersi, dove le risorse personali vengono azzerate, e ogni giorno diventa una sfida, un combattimento per sopravvivere… Credo sia stata questa l’esperienza vissuta dal popolo di Israele nei 40 anni di cammino nel deserto, in cui ha dovuto imparare cosa vuol dire vivere ogni giorno senza sapere cosa succederà domani, dove ha sperimentato la propria incapacità a camminare da solo, dove ha conosciuto veramente il significato della parola fidarsi ed “affidarsi”, e dove grazie a quell’ esperienza ha toccato con mano chi era veramente, un popolo testardo ed idolatra, e chi era veramento Jhavè, colui che amandolo per primo lo aveva strappato dalla schiavitù alla libertà…
E che dire di Gesù? Come il popolo eletto, anche Lui, subito dopo aver ricevuto il Battesimo da Giovanni, quasi senza neppure avere il tempo di gustarsi appieno la grazia e la benedizione, frutto di quel momento, viene spinto dallo Spirito nel deserto – dice la Parola – dove vi resta per 40 giorni… mi colpice l’urgenza, che mi sembra di cogliere, con cui Egli viene chiamato a vivere questa esperienza prima di cominciare la Sua missione… e mi domando, perchè ? Credo che a spingerlo fosse inanzitutto il desiderio, la necessità di vivere in intimità profonda con il Padre, di mettersi in ascolto della Sua volontà, di svuotarsi completamente da umane aspettative o umani progetti su come doveva essere questo Messia tanto atteso, per poter esserlo pienamente ed unicamente secondo il “cuore del Padre”, ma non solo questo; mi piace anche pensare che Gesù abbia voluto vivere l’esperienza del deserto per condividere fino in fondo anche la nostra umanità, per darle compimento e risanarla, vivendo nella propria carne persino il combattimento della prova… E che dire di noi ?
Ciascuno vive momenti di deserto nella propria vita: può essere il deserto come luogo devastato della malattia, che ci porta ad isolarci, che ci fa sperimentare la precarietà del non bastare più a noi stessi; può essere l’aridità spirituale che ci fa sperimentare “il silenzio di Dio”, quando ci sembra che per noi “non ci sia più parola”, che ci fa sentire “luogo senza piste e senz’acqua”; può essere la precarietà affettiva che ci fa sentire luogo abitato da rovine dimenticate… Tutte queste esperenze, che io stessa ho vissuto nella mia vita, anche se dure, sono state per me necessarie perché potessi toccare con mano dove stavo veramente appoggiando la mia vita, che cosa ritenevo importante, cosa dava senso o orientava le mie scelte quotidiane, chi era per me questo Dio che dicevo di amare: nella precarietà e nella prova cadone le maschere, cadono le illusioni che abbiamo di noi stessi, e possiamo guardare in faccia il nostro io, vederci e conoscerci come il Padre ci conosce, e da qui, solo da qui, dalla verità di noi stessi, poter ricominciare il cammino verso la vera conversione…
Pensando al tempo di Quaresima, allora, a questi 40 giorni che ci preparano all’incontro con il Risorto, mi piace paragonarlo ad un cammino di riflessione più profonda, di preghiera più intima, ad un “pellegrinaggio interiore” in cui riconoscere nelle nostra vita le zone oscure, aride a ferite che hanno bisogno di essere presentate a Lui per essere guarite e riconciliate.
Pensando ancora alla similitudine con il deserto riguardo a questo tempo di grazia che ci attende, mi risuonano nel cuore e mi commuovono profondamente le parole del profeta Osea “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore…”. Mi piace pensare a questo luogo così inospitale e refrattario alla vita, come a un luogo di iniziazione attraverso il quale, un tempo, una massa di schiavi uscita dall’Egitto è diventata popolo di Dio; e contestualmente oggi, per noi credenti, come a una esperienza pedagogica nella quale veniamo rigenerati come Figli di Dio.
Deserto, allora, come momento favorevole per fare silenzio, per “azzerare” il nostro io, per svuotarci delle nostre umane sicurezze e lasciare spazio ad una Parola capace di penetrarci nel profondo, di entrare nella nostra “casa segreta” e scavandovi in profondità, svelare i veri desideri del nostro cuore, che tante volte non ascoltiamo; una Parola capace di abbattere i muri che per paura ci siamo costruiti e scoprire gli anfratti più nascosti e oscuri di noi stessi, per portarli alla luce e risanarli.
Allora è grazie alla Parola che in questo tempo riceveremo e impareremo, dalla nostra Madre Chiesa, dalla quale verremo educati alla conoscenza di noi stessi, la pazienza, l’attesa e la perseveranza, e potremo riconoscere nella nostra quotidianità la voce di Dio che ci chiama; infine, allenati e fortificati dalla lotta contro il maligno, procederemo verso la gioia piena e lo splendore del giardino di Pasqua dove anche noi, come Maria di Magdala potremo riincontrare e riconoscere il Risorto.
Buon Cammino, insieme…
Alessandra Cipolotti