Adoro il presepe a tal punto da fare fatica a smontarlo. Mi ripeto: domani, domani lo smonto. Passa gennaio e passa febbraio. Domani…
Il presepe suscita in me un fascino così prepotente e misterioso che ho smesso da tempo di chiedermene il perché. Me lo godo e basta. Ogni anno aggiungo qualche elemento e non è cosa da poco, perché il mio è un presepe napoletano, ambientato in un quartiere popolare, con le statuine in terracotta vestite di vera stoffa. Un presepe di città, senza montagne innevate e pastori. Mi piace pensare che Dio si incarni nel tempo e nella storia e in ogni luogo. Così nel mio presepe napoletano il grotto è circondato di bambini, e trovare statue di bambini è difficile; poi ci sono tutti i mestieri, gli artigiani e i bottegai; ma anche gli sfaccendati, i sonnacchiosi, i giocatori, le comari. C’è una nonna con gatto che legge una storia al nipotino. C’è una mamma che allatta. E c’è Maria con il pancione in arrivo a dorso d’asinello.
Quella gente sa che sta nascendo il Salvatore? Ci pensa? Ne sente cambiata la propria vita? Non tutti, anzi forse pochissimi o quasi nessuno. Ma Gesù nasce per tutti e per tutti ha una parola, un gesto, uno sguardo su misura. La redenzione è un dono per tutti.
Parole, gesti e sguardi su misura. Perché siamo tutti unici e diversi, non una massa indistinta. Siamo come le statuine del presepe, in presenza del Salvatore anche senza esserne consapevoli, sempre meno capaci di provare emozioni e slanci. Oggi – ce lo racconta il recente Rapporto Censis – siamo tutti, chi più chi meno, attraversati da una sfiducia nel futuro, da una soffusa tristezza, da un carico di delusioni, timori e insoddisfazione che ci rendono malinconici. La malinconia è la parola che meglio descrive l’Italia ed è una malinconia che induce alla passività. Conclude il Censis: «È la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani, il sentimento proprio del nichilismo dei nostri tempi».
Questo ci deve interessare oppure – come mi sono sentito ruggire in faccia – sono soltanto vani “sociologismi e psicologismi”, perché “quel che conta è la Bibbia” e basta? Che cosa passi nella testa, nel cuore e nell’anima della gente attorno a noi è ininfluente sull’annuncio? Non interessa a Cristo e quindi non deve interessare neanche a noi?
A me interessa molto anche se non ho soluzioni precotte. Quando al Convegno ecclesiale di Firenze papa Francesco lasciò l’immagine di una “Chiesa in uscita”, ci lasciò la scatola di montaggio di questa Chiesa ma senza il libretto di istruzioni, che sarebbero state affar nostro. Uscire dal grotto: ci pensano i bambini. Ma poi? Se davvero l’89 per cento degli italiani si mostrano avvolti nella malinconia paralizzante, potrebbero rivolgersi al restante 10 per cento reattivo, che dà soddisfazione, guarda attorno a sé e pensa: ma dove sono tutti questi malinconici? Noi magari non lo siamo. O forse non lo sembriamo…
Forse, ma è solo un mezzo pensiero della notte, raccontare a persone malinconiche, incapaci di entusiasmo, che Gesù è sceso nel mondo per loro, ed è loro amico, potrebbe consistere nel fare loro compagnia, essere loro amici, dimostrare di saperli ascoltare, stringerci in un abbraccio ideale che sarà l’abbraccio di Gesù. Le parole verranno poi con la prima parola del Natale: pace.
Poi ci sarebbe da indagare se davvero le nostre comunità parrocchiali sono immuni dalla malinconia che induce alla ripetizione delle solite cose, senza entusiasmo né estro. Ma adesso è Natale, facciamo festa: per la mestizia c’è tempo.
Umberto Folena