Cammino di iniziazione cristiana

Mons. Renato Marangoni ripercorre i passi che hanno dato origine al ripensamento. Tra inquietudine pastorale e passione evangelica.

1) Quando è iniziato il percorso di iniziazione cristiana della nostra Diocesi tu eri vicario per la pastorale. Potresti raccontarci un po’ come è nata l’idea di questa “nuova impostazione” nella catechesi?

Riconosco che fu una “grande avventura”, perché attorno all’Iniziazione cristiana dei ragazzi sembravano confluire lì tutte le attenzioni e preoccupazioni pastorali che negli anni precedenti avevamo incontrato. Fu senz’altro un tema e una questione “generale”. Convocava tutti: preti, catechisti/e, Consigli pastorali, animatori nella Liturgia e nella Carità, animatori e accompagnatori, associazioni e aggregazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana, le comunità parrocchiali e le famiglie… Anche i grandi temi che circolavano tra le Diocesi italiane dopo il Giubileo del 2000 potevano così intrecciarsi. Penso alla prospettiva del “Vivere e comunicare la fede oggi”, dell’“Unire fede e vita”, di “Comunità che generano alla fede”… Questa prospettiva del “generare alla fede” puntava a toccare il centro della vita delle parrocchie. Decisivo fu l’anno pastorale 2010-2011 quando si fecero i primi passi concreti per ripensare l’IC dei fanciulli e dei ragazzi. Fu un vivace tirocinio che vivacizzava il Consiglio pastorale diocesano e poi i Coordinamenti vicariali e , quindi, i Consigli pastorali parrocchiali, ma poi attraversò anche la preparazione e l’evento di Aquileia 2 (Convegno delle Chiese del Triveneto, aprile 2012). Tornava insistente la domanda: Chi è la comunità cristiana. Rilevo il “chi?” rispetto al solito interrogativo “che cosa?”. Si trattava di risvegliare anche una più estesa e coinvolgente soggettività ecclesiale. Un altro elemento in quegli anni fu sorprendente e decisivo in Diocesi di Padova: il catecumenato degli adulti: giovani, uomini e donne adulti, a volte famiglie intere, che domandavano di diventare cristiani. Diventò necessario chiedersi tutti, ad ogni livello delle comunità: come si diventa cristiani? Nelle parrocchie anche ragazzi e ragazze – spesso di altra provenienza etnica e dunque religiosa – coinvolti con i loro amici e compagni di scuola chiedevano di diventare cristiani. Questa richiesta fu provocante, perché metteva in discussione nelle parrocchie interessate gli automatismi catechistici e le conseguenti tappe dei sacramenti, vissuti più come conclusione di una serie di incontri catechistici e come evento straordinario centrato su alcuni effetti particolari. Dunque fu un insieme di fermenti che portò a “ripensare l’IC”. Strategico fu un “lavorare insieme “a livello di regia diocesana. Tale metodo fu una delle risorse e delle forze del cammino di re-impostazione intrapreso.

2) Quali sono gli obiettivi che ci siamo dati, come Chiesa di Padova, con questo percorso? Quali le scelte di fondo?

Gli obiettivi per cui ci si è messi alla ricerca di una impostazione nuova sono i cambiamenti socio-culturali e, dunque, socio-religiosi delle nostre parrocchie. Un principio fondamentale – forse rimasto inattuato – elaborato fin da qualche decennio prima specialmente dalla Conferenza episcopale italiana a cui sempre si è cercato di fare riferimento, è quello della “personalizzazione delle fede”. Il contesto di cristianità era saltato da tempo. Si doveva puntare a far diventare scelta libera e personale ogni itinerario di fede e di appartenenza ecclesiale. Questo ha ispirato il lavoro compiuto. E, contemporaneamente, la realtà nuove delle persone, delle famiglie, della stagione adulta della vita… Sia i ragazzi sia gli adulti manifestavano un volto nuovo di fronte alla prospettiva di credere e di credere insieme nella Chiesa. È stata una sana “inquietudine pastorale” a muovere tutto questo. Pian piano traspariva una nuova “passione evangelica” da far diventare annuncio liberante e responsabilizzante. Si cominciò con i ragazzi e il mondo di adulti che circolava attorno a loro: era una risorsa “antica” delle nostre parrocchie…

 

3) Negli anni in cui hai visto i primi passi di questo cammino, quali sono i germogli che hai visto spuntare? Quali le fatiche?

Parlo di un germoglio che penso sia quello da coltivare senza incertezze, come fosse una promessa che non può venire meno. Si tratta dei genitori, dunque persone adulte, che sono stati sollecitati e si sono lasciati coinvolgere, sia come accompagnatori sia come partecipanti al cammino loro proposto. Mi aveva suscitato tanta meraviglia l’impegno di formare gli accompagnatori e gli echi delle prime esperienze di accompagnamento dei genitori. Una via nuova percorribile dove il Vangelo stesso la apriva e si offriva come possibilità di essere frequentato e riscoperto. Certamente c’erano anche tante fatiche, sono quelle di sempre provocate dalla paura dello sviluppo che tutto ciò avrebbe comportato con gli investimenti di risorse umane da prevedere, dalle resistenze alle “sorprese dello Spirito”, dalla “bradicardia” di un certo ministero pastorale, dalla ripetitività liturgica e catechistica che sembrava più rassicurante…

 

4) In due parole, vuoi dirci un motivo per cui tu, se tornassi indietro, proporresti ancora questo cammino?

Proporrei ancora un ripensamento dell’IC, perché le persone – ragazzi, giovani, famiglie, adulti – cambiano e sono nuove rispetto ai parametri di conoscenza che la Chiesa tende a standardizzare e perché la “grazia” – come puro dono gratuito di Dio – abbisogna sempre di persone disposte a crescere e incontrarsi fraternamente nella libertà e nella responsabilità.

+ Renato Marangoni

Vescovo di Belluno-Feltre

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